Convivenza forzata vol. 0 e 3. Speciale Etruschi From Lakota.

Prologo. Due live, due convivenze forzate, due anni di #CPS.

Gli prendo il ciddì.
Non ho idea di quante volte abbia pronunciato questa frase negli ultimi due anni.
Troppe, stando alle mie modeste finanze. Eppure non c’è modo migliore per riassumere i primi due anni di questo piccolo blog.
4 parole che tutti gli appassionati di musica indie si trovano a pronunciare più e più volte, ferendo mortalmente il proprio portafoglio, visto che segue spesso anche un’altra frase, altrettanto dispendiosa: Il ciddì ce l’ho già. Gli prendo la maglietta. 
(Naturalmente c’è anche la combo definitiva: Gli prendo il ciddì. E pure la maglietta. E bye, bye money…)

Gli Etruschi From Lakota non sono la prima band ad avermi spinto a pronunciarla. Ma sono sicuramente La Band che mi ha spinto a prendergli il ciddì in virtù del blog.
Da quel momento, un iScream Fest datato 2015, decisi di rivitalizzare questa piccola fanzine, in origine un mero progetto universitario per un esamino anche piuttosto del cavolo, e trasformarla nell’arena in cui narrare le gesta di questi anti-eroi contemporanei: le band indie.
Quelle vere, che si fanno il mazzo su e giù per l’Italia a suon di schitarrate e chilometri stipati nei furgoni.
Con questo volume speciale di Convivenza Forzata, quindi, voglio proprio celebrare uno di questi eroi contemporanei, recensendo i primi due album di Dario Canal e soci. Entrambi i dischi di cui parlo qui furono a lungo compagni di viaggio “automobilistici” come impone questa rubrica, ma non li recensii per ragioni diverse.
Il primo protagonista, I nuovi mostri, era un disco già vecchio di un paio d’anni quando ne entrai in possesso. In compenso fu una sorta di prototipo della prima “Convivenza” che sarebbe uscita ad ottobre 2015 – quella dedicata ai Ministri di Cultura Generale – ispirandomi, in qualche modo, l’idea di una “recensione lunga” e “a fuoco lento.”
Il secondo disco, invece, è Non ci resta che ridere. Lì, invece, fu complice la mia maledetta procrastinazione che mi portò a rimandare, rimandare e ancora rimandare fino a rendere semplicemente senza senso pubblicare la recensione di quell’album.
Oggi, però, a pochi giorni di distanza dall’uscita del terzo lavoro della band toscana – Giù la testa (l’ultimo singolo lo trovate qui sotto) – è tempo di rimediare e rendere omaggio ad una delle migliori band italiane in giro oggi.
Tuffatevi con me negli ultimi due anni di vita di questo blog e riprendete in mano queste due bombette firmate Etruschi From Lakota.

Piccola nota: farò riferimento alla formazione degli Etruschi From Lakota di quel periodo, cioé quella con Diego Ribechini al basso, uscito dalla band al termine della scorsa estate (anche se figura tra i collaboratori dell’ultimo album). Per ulteriori info, rimando al fondo dell’articolo.

Parte 1. I Nuovi Mostri

Data e luogo di acquisto: iScream Fest (Poirino, TO), 4 luglio 2015

Dopo essermi fatto sfottere per la mia bellissima (e assolutamente in tema…) camicia coi gelati, vado al banchetto degli Etruschi e, come detto, gli compro il ciddì.
Prima dell’acquisto avevo solo ascoltato qualcosa di straforo su Spotify ma, dopo un concerto della Madonna come quello, avevo capito che questa band andava approfondita a tutti i costi.

I Nuovi Mostri è una scoperta e, dopo qualche ascolto, si comprendono molte cose sui cinque ragazzi toscani che formano gli Etruschi From Lakota.
Il primo è che, nonostante i chiarissimi riferimenti classic rock, questo non è affatto un gruppo demodèrevival.
Tra testi sarcastici ipercontemporanei – PMP, anti-manifesto del band-tributismo da provincia – e coltellate nello stomaco – Nessuno si muove – il gruppo suona questa musica vecchia con talmente tanta freschezza da ripulirla quasi completamente dalla ruggine del revivalismo degli ultimi anni.
Hard-rock folk, tematiche vicine al blues (I figli di Pablo) e critica politica (Il politico alternativo)I Nuovi Mostri è un patchwork che mischia presente e passato con una semplicità disarmante.
E si osa pure incrociare Doors e Fatboy Slim nello stesso pezzi, nella clamorosa Insetti.
Anche musicalmente il gruppo riesce a crearsi un’identità distintiva: il tappetone di chitarre acustiche firmate da Piro Marini, i riff hard-blues di matrice zeppeliniana ad opera di Sandrucci e la sezione ritmica-calcinculo di Woz RibechiniLuigi Ciampini determinano lo stile chiaro e inconfondibile della band. Su di esso, Dario Canal è libero di dar sfogo a tutta la sua energia vocale.
Esagerando, potremmo definirlo il Robert Plant dell’indie italiano per carisma ed estensione vocale. Senza scomodare paragoni (forse?) fuoriluogo, un cantante che vi spezza in due ad ogni acuto.
Quest’album rappresenta, semplicemente, il metro di paragone con cui definire tutto quello che uscirà di questa band.
Un esordio clamoroso.

La tracciaRe dei giudei è, sostanzialmente, un medley di varie parti del musical Jesus Christ Superstar. È, sicuramente, una delle vette della discografia della formazione toscana, con la voce di “Jesus Canal” che duetta con gli altri bravissimi membri della band. Occhio: negli ultimi live l’hanno rispolverata (“attaccandola”, peraltro, all’originale Superstar). Non fatevi trovare impreparati!

Parte 2. Non ci resta che ridere.

Data e luogo di acquistoPalco19 (Asti), 12 dicembre 2015

Mamma mia che freddo che faceva!
Per fortuna che gli Etruschi From Lakota erano in città, quella sera al Palco19 di Asti, in apertura di un Andrea Appino meno in forma del solito.
E se ti becchi pure gli Etruschi prima di te, sei davvero fregato: quelli sono serial killer di headliner!
Chiaramente, terminato il concerto, è arrivato il momento di completare la discografia. Ed ecco che gli prendo il ciddì di nuovo, complice soprattutto il singolaccio Cornflakes.

Ad un primissimo ascolto, hai quello che ti aspetti dal singolo: una semplice prosecuzione del primo lavoro. La title-trackCornflakes sono due brani che potrebbero star qui come nell’altro album.
Con Abramo, però, qualcosa cambia.
Gli Etruschi sfidano i propri fan, lasciando in secondo piano le chitarre elettriche e tirando fuori un album più acustico e decisamente agreste. A differenza del primo disco dove si poteva rintracciare una tematica generale di fondo – i nuovi mostri, appunto – ma non un vero e proprio concept, con Non ci resta che ridere la band ci accompagna in gita nel loro mondo contadino. Un album con un’urgenza narrativa particolare con un Canal che si propone come aedo della campagna toscana.
Un disco da sentire a ripetizione, che offre sempre nuovi spunti di riflessione, grazie ad una certa ambiguità di alcuni brani: nella bellissima Il contadino magro non è facile scegliere con quale delle due parti in gioco stare. Il contadino, così ossessionato dal denaro da volerlo bruciare la sera prima di morire, o la famiglia, anch’essa interessata più ai soldi bruciati dal parente che alla morte dello stesso? Anche Non ci resta che ridere, in apparenza momento leggero del disco, sa impressionare con momenti deliziosamente sarcastici come il refrain finale, Toro Seduto in cambio dei texani. C’è sostanza dietro questi brani e questo costringe l’ascoltatore a fermarsi e riflettere: non sono tracce che filano lisce (ad eccezione della sola Cornflakes, più per il tiro pop/scanzonato generale che per il significato effettivo del brano).
Anche la stessa scelta di puntare molto sulle sonorità delle chitarre acustiche marca una differenza rispetto a I Nuovi Mostri e, nello stesso tempo, rappresenta la volontà di reinventarsi, anche se siamo solo al secondo disco.
Certo, è indubbio che, rispetto a quel disco, a tratti manchi un po’ di grinta elettrica ma capolavori come Erisimo – a parer mio, il miglior brano della loro discografia – e legnate come V.I.V.O. –  dove Ciampini ricomincia a martellare come un fabbro sulla batteria – compensano alla perfezione, lasciandoti decisamente soddisfatto arrivati al termine dell’ascolto.
E attenzione: se musicalmente I Nuovi Mostri rappresenterà il riferimento immediato a livello musicale per il nuovo album, la vena concept di Non ci resta che ridere potrebbe rispuntare in Giù la testa, stando a quanto dichiarato nelle ultime interviste e visto il primo singolo pubblicato quest’estate, Eurocirco 

La traccia: Erisimo è il brano degli Etruschi From Lakota che non ti aspetti. Qui, sopra un tappetto di chitarre acustiche, Canal inanella una serie di frasi che ti arrivano dritte al petto: “Digli che se il piatto è vuoto / Domani dormi meglio / Digli che se è vuoto per tre giorni / Sei morto e defunto.” Se siete in macchina, accostate, chiudete gli occhi e ascoltate: questa è una delle 10 canzoni più belle uscite negli ultimi dieci anni.
Almeno. 

Conclusione. Aspettando “Giù la testa”

Ora la parola spetta al nuovo album.
I due primi dischi ci hanno portato in direzioni decisamente diverse. Perfino rispetto al primissimo EP, Davanti al muro (che invito a recuperare), gli Etruschi hanno provato subito a reinventarsi, pur non snaturando la propria vena classic rock.
Con Eurocirco, il primo singolo del nuovo album, Giù la testa, la band è come se avesse voluto dirci: “Ok, abbiamo solo scherzato. Adesso si osa davvero.” Ed è questo il segreto di una buona band: capire di non essere mai arrivati.
Provare, cambiare, sorprendere, riprovare ancora, ripetere: questo sono gli Etruschi From Lakota, una delle proposte italiane musicalmente più valide
Se non siete ancora in possesso del nuovo lavoro – come il sottoscritto, che attende la propria copia… – sparatevi un bel ripassone di questi due discacci.
Non ve ne pentirete.
Biada. (cit.)

Gli Etruschi From Lakota sono:
– Dario Canal, voce;
– Simone Sandrucci, chitarra elettrica, banjo;

– Pietro Marini, chitarra acustica;
– Diego Ribechini, basso, bass VI;
– Luigi Ciampini, batteria.

Nella formazione attuale della band non figura più Ribechini, sostituito numericamente da Tom Newton, armonicista pazzesco già nei Crazy Power Flowers; al basso e al bass VI, invece, si è spostato parzialmente Pietro Marini, che comunque continua ad essere anche la chitarra acustica del gruppo. 

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